
val Rendena
Ricca di acque, di pascoli, di boschi e di
animali, misteriosa e selvaggia, piena di fascino arcano e insieme
aperta, ridente, luminosa si presenta la Val Rendena, cerniera tra
Lombardia e Trentino, ai margini di entrambe le regioni e partecipe di
tutte e due le culture, intatta nei suoi valori naturali primitivi,
tipici di una zona alpestre ancora integra e di un ambiente umano
originale per costumi, tradizioni e linguaggio, caldo e spontaneo nel
suo manifestarsi.
Lasciata Tione, centro e punto d'incontro per tutti gli abitanti delle
Valli Giudicarie, coi suoi bei negozi, gli uffici e le scuole, poco a
settentrione, là dove il Rio Finale precipita nella Sarca, il
paesaggio cambia quasi all'improvviso. E con il paesaggio la gente.
Incomincia qui la "val de la trisa": un'esplosione di verde nel cuore
del parco Adamello - Brenta, privilegio che la gratifica di un
patrimonio naturale, umano e culturale impagabile...
Costituita dal solco glaciale bagnato dalle
acque del fiume Sarca nel suo corso superiore e delimitata a nord dal
passo di Campo Carlo Magno, offre una straordinaria varietà di
ambienti, preziose specie di flora e fauna, rilevanti fenomeni
naturali, oggetto di studio e di ammirazione. Alla maestosità dei
ghiacciai delle "Grandi Alpi" si contrappongono le fantastiche
suggestioni di torri e pinnacoli in dolomia; alle nude pareti
granitiche fanno da contraltare pendici prative e boscose, torrenti
impetuosi con laghi e cascate.
Lunghe, stupende convalli - di San Valentino, di Borzago, di Genova,
di Nambrone, di Nambino - si incuneano profondamente nel fianco dei
monti che la chiudono a sera, mentre di fronte, a mattino, il versante
cala ripido con brevissimi corsi d'acqua poco affidabili. Ne
scaturisce un paesaggio alpino unico, che stacca di netto la Rendena
dalle valli circostanti.

Lungo i suoi 30 chilometri si distendono
numerosi centri abitati. Dodici sono i comuni: il centro maggiore è
Pinzolo con le sue "perle" Madonna di Campiglio e Sant'Antonio di
Mavignola, ma la sede storica della Pieve di Rendena è a Spiazzo. La
presenza umana nella valle fonda le sue radici nell'età del bronzo e
sicuramente sono identificabili castellieri comunitari preistorici a
Verdesina, a Pelugo, a Massimeno e a Giustino. Abitata da popolazioni
retiche e celtiche, fu in seguito romanizzata. La tradizione vuole che
l'autoctona popolazione pagana abbia ucciso nel V secolo il vescovo di
Trento Vigilio, spintosi quassù a redimerla alla fede cristiana, e che
tre secoli più tardi sia transitato per la valle
Carlo Magno coi suoi paladini, che a Carisolo e a Pelugo avrebbe
abbattuto i castelli, costruendo al loro posto delle chiese. Ma al di
là delle tradizioni più o meno provate, una caratteristica accompagna
la storia di queste genti, un orgoglio e uno spirito di autonomia che
si identifica nell'insofferenza a qualsiasi forma di giogo. Recita un
antico detto popolare: "'n Rendéna sióri no ghe regna!". Restano di
questo passato ormai lontano numerose e preziose testimonianze. Alle
stupende chiesette dipinte a fresco dai Baschenis, il Sant'Antonio di
Pelugo, il San Giovanni di Massimeno, il San Vigilio di Pinzolo e il
Santo Stefano di Carisolo, celebri queste ultime due per le "Danze
macabre", si affiancano segni dell'architettura tradizionale in alcuni
villaggi risparmiati dai grandi incendi che hanno tormentato
l'esistenza delle popolazioni, ma soprattutto nei masi e nelle baite,
nei "munç".
Per non parlare poi dell'esuberante patrimonio di cultura popolare che
ha conservato fino a noi numerose espressioni letterarie, dalle laude
della Confraternite medievali dei Battuti al Codice di Pinzolo, dalle
"maitinàde", composizioni poetiche in prevalenza amorose o satiriche,
alla "manfrina", l'antico ballo comunitario. Una storia quella
rendenese che porta anche un altro segno, doloroso: l'emigrazione.
Un'economia povera, fondata sul legname, sull'allevamento e su quel
po' di agricoltura che era possibile, costrinse la gente ad andarsene
nelle terre grasse del sud, stagionalmente, o in Paesi stranieri per
lungi anni, a partire dal XVII sec. Dapprima "segantini", poi "moléti"
e salumai, ma anche soffiatori di vetro e muratori, gli emigrati
rendenesi sono presenti in molti Paesi del mondo, ma conservano nella
terra degli avi case e campi, per non privarsi del sogno di tornare a
casa, magari a trascorrevi la vecchiaia. E in questi anni di ritrovato
benessere, con l'avvento del turismo, in molti sono tornati. Con le
loro "rimesse" in un primo tempo, quindi investendo i loro guadagni
nella ristrutturazione delle vecchie case, nella trasformazione in
accoglienti alberghi, negli impianti di risalita, hanno rinnovato i
propri paesi, richiamandoli a un fervore di vita e di iniziative
straordinario. Hotel, residence, avveniristiche strutture per gli
ospiti,sempre però armonizzate nel paesaggio, negozi e boutique,
artigiani operosi caratterizzano i paesi, al cui limitare passeggiate
riposanti e suggestive dentro una natura incontaminata e affascinante
garantiscono soggiorni da favola in estate.
In inverno poi la neve trasforma il tutto in un incantevole paradiso
per sciatori, pattinatori ed escursionisti, in campi di gare
prestigiosi per la Coppa del Mondo e per manifestazioni di grande
interesse internazionale con Madonna di Campiglio a far da regina, di
giorno e di notte.
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